Appunti per la città del poco futuro
La società occidentale sta invecchiando. In Europa, l’Italia sta invecchiando più delle altre nazioni. I dati e le proiezioni statistiche restituiscono una realtà che è evidente nelle pratiche quotidiane: quella di una nazione e di una città in particolare - Genova - dove i bambini sono sempre meno visibili, perché non ci sono, i giovani si allontanano e gli anziani sono anziani sempre più a lungo.
La diminuzione della natalità, insieme con la crisi economica di questo momento storico, riduce drasticamente le prospettive e la capacità di orientarsi verso il futuro. Ma è la condizione della vecchiaia che, tradizionalmente e più di tutte le altre, limita la capacità di guardare il futuro e di pensare al futuro. Se non altro perché il futuro davanti a chi guarda è poco. E i suoi limiti cominciano a intravvedersi con maggiore chiarezza.
Ciò che è cambiato rispetto al passato è che gli anziani sono molti di più, lo sono più a lungo e lo sono entro una struttura sociale che non assorbe più nel corpo di famiglie multiformi e numerose i propri anziani. La speranza di vita per le donne occidentali oggi è di 84,8 anni, per gli uomini di 79,3. Solo cinquant’anni fa era rispettivamente di 72,3 e 67,2.
Vecchiaia, terza o quarta età, non solo sono oggetto di studi e previsioni demografiche ma sono al centro delle preoccupazioni dei governi nazionali e delle politiche sociali così come delle mire del mercato per il giro di affari che possono rappresentare. Ma anche se la soglia di attenzione intorno a questo tema sta progressivamente salendo, resta ancora fuori fuoco la riflessione sulle implicazioni che la vecchiaia ha sulla città, sui suoi spazi, sulla sua organizzazione. E anche se si stanno diffondendo studi istituzionali specifici su questi aspetti, essi non riescono ad uscire da un approccio che oscilla tra il tecnicismo e la generalità. Sembrano mancare di una visione di ampio respiro come quelle che, nei grandi momenti di trasformazione delle società, solo le avanguardie artistiche ed il pensiero utopico sono riusciti a proporre.
Tutte le costruzioni utopiche, come prefigurazioni di nuove spazialità e società diverse, sono sempre state caratterizzate da un potente slancio verso il futuro e dalla centralità di abitanti “tipo” immaginati nel pieno delle loro potenzialità fisiche e psichiche. Anche quando si parlava di anziani, questi erano i saggi o i nonni o comunque persone ancora attive con un ruolo definito entro un’organizzazione sociale robusta, coesa e solidale. Platone, Campanella, Thomas More, Charles Owen, Étienne Cabet, per citarne solo alcuni, re-inventavano la società secondo principi di giustizia, equità e modelli organizzativi e spaziali rivoluzionari. Proponevano soluzioni alternative al vivere allora contemporaneo, visioni e prospettive per futuri “migliori”. Un medesimo afflato prospettico, fiducioso, forse anche positivista e idealista, senz’altro provocatorio e visionario, ha alimentato anche altre visioni del futuro altrettanto utopiche, magari meno compiute, a noi più vicine. Gli esempi sono molti: dalle architetture “radicali“ italiane a quelle di Archigram e dei Metabolisti, alle utopie geografiche di Herbert Sörgel a quelle ecologiste di Ernest Callenbach.
L’uomo al centro dell’utopia, di ogni utopia, è sempre un uomo sano, nel pieno delle energie, della maturità e delle sue capacità produttive e riproduttive. Ma se un tempo l’età media era di 33 anni, oggi è aumentata di almeno 10 anni. In Italia 43,5 anni (a Genova 47,2) per la precisione e sarà 49,7 nel 2050. Il “mezzo del cammin” si è decisamente spostato più in là.
Cosa succede dunque se proviamo a mettere al centro di un’utopia un idealtipico uomo anziano? Un uomo, o una donna, che ha oltrepassato la soglia dei 65 anni, che deve fare i conti con una condizione di debolezza se non di malattia?
E soprattutto cosa significa costruire una visione urbana per una città dedicata e costruita su misura per questo genere di persone?
Gli Appunti per la città del poco futuro trovano la loro ragion d’essere nella riflessione intorno a questi due temi apparentemente opposti e distanti: vecchiaia - nella sua relazione con una città come Genova - e il ruolo delle riflessioni utopiche. Si tratta di un progetto “speculativo”: un modo per riflettere intorno a una condizione attuale e sempre più urgente mettendo al lavoro gli strumenti e le forme di un certo tipo di pensiero – quello utopico – assumendolo più come attitudine dello sguardo che come riferimento di contenuto. Appunti per la città del poco futuro è un lavoro aperto e in itinere che si compone di materiali eterogenei, volutamente spuri: mappe che raffigurano la morfologia della città, dati e riferimenti biografici che parlano dei suoi abitanti, immagini e testi che alludono alla sua forma e al suo funzionamento, alla sua natura.
A Genova abbiamo costruito la nostra città del poco futuro. Una città dove siamo cresciuti, dalla quale ci siamo allontanati ma che osserviamo costantemente. Genova è una città invecchiata, ma non è una città per vecchi. Almeno non del tutto. E allora la nostra città utopica diventa un’isola galleggiante in mezzo al mare, come l’Utopia di Moro, che ripropone quasi completamente la città esistente perché di questa è il riflesso e la sua condizione estrema. È una città-specchio in cui però ogni dislivello è annullato perché gli anziani vi si devono poter muovere liberamente. È una città che solo apparentemente è un ghetto o un allargamento a scala urbana di un ospizio. È il riflesso degenerato di una condizione attuale, di una città che invecchia e che si adegua ai suoi abitanti. Che è modellata per accoglierli e far loro vivere al meglio un futuro che pur essendo poco - perché è senza prospettiva e se ne intravvede la fine - si sta comunque allungando.
Gli abitanti di questa città sono gli anziani di domani. Siamo noi che prendiamo questi appunti, tra venticinque, trenta, quaranta anni. Gli anziani di oggi, quelli che ora compiono 100 o 65 anni, anticipano una condizione e ce ne mostrano i contorni. Sono i numeri su cui è possibile costruire le proiezioni statistiche. Ma sono anche numeri a cui possiamo associare biografie, esperienze, storie e che ci consentono di immaginare vite.
Come per ogni utopia che si rispetti tra i nostri Appunti ci sono anche spezzoni di un possibile manifesto che fissa principi, stabilisce regole, fornisce direzioni per definire come sarà la città. Anche questo è un manifesto in divenire, incompleto e frammentario. Ma le sue asserzioni nel loro insieme ricompongono provvisoriamente l’immagine di questa nuova città. Le regole che governano la città del poco futuro sono di varia natura. Riguardano la composizione dei suoi abitanti e di chi se ne occupa, il modo in cui sono organizzate le attività e i suoi spazi, il tipo di dotazioni che deve possedere, le prestazioni dei materiali di cui è composta, le forme attraverso cui si trattano le fragilità del fisico e della memoria. Il manifesto racconta di una città “possibile” fatta per gli anziani. E ogni asserzione contiene un’ipotesi, una visione di un differente futuro, un progetto implicito. Le immagini che illustrano la città del poco futuro non sono progetti o soluzioni definitive a problemi. Sono piuttosto “speculazioni” attraverso cui si apre la strada alle possibilità: i percorsi obbligati che consentono a chi è malato di Alzaimer di ritornare, i recinti protetti dove accadono “cose meravigliose”, l’accademia delle badanti, gli archivi di immagini per costruire le comunità di memoria, la città realizzata in piano e altre raffigurazioni e speculazioni che verranno sono traduzioni ed estremizzazioni -immaginifiche e positive, quanto lo possono essere immagini utopiche - di ciò che in alcuni casi si sta già provando a fare anche se a scala limitata e spesso in maniera ancora poco efficace. Sono in definitiva modi per alimentare immaginari possibili che in futuro appariranno assai meno provocatori di quanto lo possano apparire ora. Quando ad esempio in Italia una persona su tre avrà più di ottanta anni e nel mondo gli ultrasessantacinquenni saranno più dei quindicenni. Accadrà nel 2050: non è un futuro molto lontano.
Gruppo A12