GENOVA 1960, LA LUNGA ESTATE DELLA RIVOLTA

22.07.2012 17:43

 

di Wanda Valli (la Repubblica, 13.06.2010)

Cinquant’anni fa la città si ribella al congresso del Msi. Ex partigiani, camalli, studenti si infiammano alle parole di Pertini: "Difendere la Resistenza, costi quel che costi". Il 30 giugno la Celere di Tambroni viene travolta dai "ragazzi con le magliette a strisce". È in quelle giornate che si disegnerà il futuro dell’Italia tra aperture alla sinistra e tentazioni autoritarie

La macchia è ancora lì, rossastra, a due passi dal palazzo della Regione, in piazza De Ferrari, cuore di Genova. Hanno provato a ripulirla nel tempo, più e più volte, ma senza riuscirci. Quasi che la storia volesse lasciare un suo segno. La macchia è quel che rimane di una camionetta della Celere di Padova rovesciata e incendiata dai manifestanti, il 30 giugno del 1960. Il giorno in cui Genova brucia, si ribella, si rivolta contro il Msi, fresco alleato del governo Tambroni, che vuole tenere nella città medaglia d’oro della Resistenza il suo congresso il 2 luglioE vuole che a presiederlo sia Carlo Emanuele Basile, l’uomo delle torture alla Casa dello studente, l’uomo che nel 1944 fece deportare milleseicento operai delle fabbriche e del porto.

Genova non ha dimenticato. È una calda giornata d’estate, il 30 giugno 1960, c’è maccaia, quel tempo umido con le nubi che velano il sole. «Scimmia di luce e di follia» la definirà molti anni dopo Paolo Conte, poeta della canzone. La città vive una calma apparente. Ma ci sono già stati cortei e scontri con la polizia: il 25 è il giorno della prima manifestazione, il 28 giugno Sandro Pertini, con il discorso del bricchettu (del fiammifero) dà il via all’incendio finale.

Tutto è incominciato quasi un mese prima, il 2 giugno, festa della Repubblica. Gli ex partigiani si incontrano a Pannesi, sulle alture sopra Genova, lo stesso posto da dove sono partiti per andare a combattere in montagna. Giorgio Gimelli, ex partigiano, nel 1960 è presidente provinciale dell’Anpi. È lui a parlare con Umberto Terracini, amico di Gramsci, compagno di prigionia di Pertini a Ponza, poi deputato eletto in Liguria per il Pci. Terracini è stato il presidente dell’Assemblea costituente, è sua la firma, nel dicembre del 1947, sotto il testo della Costituzione.

Quel giorno, a Pannesi, Terracini di fronte a tremila persone lancia la mobilitazione. Il resto dell’Italia ignora quanto sta per accadere, il governo minaccia di mandare l’esercito e spera che tutto finisca così. Il tam tam, invece, avvolge la città. A tenere i contatti tra Roma e Genova, sono la Cgil attraverso la Camera del lavoro, e soprattutto l’Anpi, l’associazione dei partigiani.

I protagonisti saranno i giovani, i ragazzi con le "magliette a strisce", operai, portuali, moltissimi studenti dell’università. Paride Batini, leader dei portuali scomparso un anno fa, nel giugno del 1960 ha venticinque anni, è uno di quelli con la maglietta a strisce: «Le portavamo tutti, perché costavano poco» spiegò l’unica volta in cui ruppe il silenzio su quei giorni.

Raccontò, Batini, che il 30 giugno ’60 fu la rivolta dei giovani: «Il miracolo economico lo stavano costruendo sulla nostra pelle, noi volevamo giocarci il futuro». In prefettura tentano una mediazione. Fulvio Cerofolini, ex sindaco socialista di Genova, poi deputato, ora è presidente provinciale dell’Anpi: «Il prefetto propose di spostare il congresso del Msi a Nervi e a noi di manifestare al Righi, sulle alture, una specie di anticipazione della teoria degli opposti estremismi». Che non passa.

Per il 30 giugno la Camera del lavoro prevede uno sciopero di sole due ore, ma due giorni prima, il 28, sono la passione e la foga oratoria di Sandro Pertini di fronte a ventimila persone a scaldare gli animi. Il futuro presidente della Repubblica ricorda gli ideali che hanno unito l’Italia: «Libertà, giustizia sociale, amor di patria. Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vivi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi». Così andrà.

Il 30, quei pochi delegati del Msi che si presentano negli alberghi vengono respinti, i tassisti li lasciano nei posti più impensati, sui tavoli dei ristoranti ci sono volantini antifascisti. Il corteo parte un po’ in anticipo. Raccoglie, via via che attraversa la città, una folla di centomila persone. In piazza della Vittoria arriva l’ordine di scioglimento. Molti ritornano in piazza De Ferrari, ma c’è anche chi non si muove da lì.

Il nucleo di polizia della Celere di Padova è schierato con le jeep e prova a mandar via la gente, a partire da chi si è arrampicato sulla fontana al centro della piazza. Uno di questi è Giordano Bruschi, allora aveva trentacinque anni, era segretario dei marittimi della Cgil: «Dopo il primo carosello, io con molti altri, finisco nell’acqua, mentre le camionette vengono posteggiate sotto i portici», là dove oggi c’è la macchia. Le cariche si susseguono, si fugge lungo i vicoli, e lì la polizia si ritrova impotente.

Bruschi: «La gente tirava vasi, acqua calda e olio dalle finestre», i poliziotti risalgono in piazza De Ferrari, proprio mentre almeno in cinquemila, soprattutto portuali e operai, vanno all’assalto delle jeep. Vengono sollevate di peso dai camalli, gli scaricatori del porto, e rovesciate. Il comandante della Celere finisce nella fontana, lo salvano i portuali e i partigiani, lo portano in un bar, a prendere un caffè.

Quando lo scontro sembra diventare sanguinoso, Giorgio Gimelli va in Questura a parlare con il commissario Costa. Insieme, il partigiano e il commissario, corrono in via XX Settembre dove la gente ha eretto barricate. Lì c’è anche Raimondo Ricci. Avvocato, oggi presidente nazionale Anpi, ricorda: «Le prime cariche, la gente che lanciava tavolini e seggiole. C’erano i lacrimogeni, ci coprivamo con i fazzoletti». Alla fine si riesce a convincere tutti ad andare a casa. In prefettura si tratta. Il centro della città resta presidiato. All’una di notte, il segretario della Cgil, Pigna, annuncia: «Il congresso del Msi è stato annullato». Genova ha vinto ancora.

Fonte: www.lavocedifiore.org