Ernesto Bernardo Cucchiaroni -

27.10.2012 13:56

Doveva compiere 31 anni di lì a qualche mese, quando la Sampdoria lo prese dal Milan, e dava l’idea di essere già un vecchietto. Invece Ernesto Bernardo Cucchiaroni è stato una figura leggendaria della storia della Samp, come leggenda è diventata poi la storia della sua tragica morte. Era l’estate del 1958 e la società doriana iniziava a costruire quella che è divenuta una delle migliori Samp di tutti i tempi. La Samp dei simpatici vecchietti, giocatori scartati da altre squadre soprattutto le due milanesi, ma che sotto la guida di Eraldo Monzeglio seppero vivere tutti una seconda giovinezza. Cucchiaroni consegnò ai tifosi il suo biglietto da visita quando in novembre di quell’anno siglò entrambe le reti nel derby vinto 2-1. Era un’ala molto veloce, Cucchiaroni. Del vecchio stile: tanta corsa, ma piedi fini. Sapeva andare sul fondo per il cross ma anche tirare in porta per il gol. Il primo anno ne fece subito dieci, e guidò la squadra al quinto posto finale. Nel 1959 dall’Inter arrivò il folletto svedese Lennart Nacka Skoglund che formerà con Tito una splendida coppia d’attacco. Geniali (soprattutto l’ex interista con la passione per il bicchiere) nel servire il centravanti di turno, ma anche nel trovare la rete. Tito segnò di più del compagno, di gol ne fece altri dieci. Ma la squadra arrivò solo ottava. La stagione 1960-1961 fu quella dello spettacolare quarto posto, miglior piazzamento di sempre fino allo scudetto di trent’anni dopo. La squadra avrebbe potuto puntare anche a qualche cosa di più. Ma a novembre il presidente Alberto Ravano preferì vendere alla Juve la fortissima ala destra Bruno Mora, che in bianconero vinse subito lo scudetto. Cucchiaroni e Skoglund soprattutto a Marassi erano incontenibili. Fuori casa dicono si tirassero un po’ indietro. Il ruolino di marcia a Marassi quell’anno fu straordinario, trentuno punti su trentaquattro disponibili, senza l’ombra di una sconfitta. Cucchiaroni dei due era quello più potente, se necessario anche più cattivo. Se c’era bisogno, sapeva entrare duro. Se lo ricorda bene il terzino della Juve Ernesto Castano, che in uno scontro di gioco con Cucchiaroni si ruppe il ginocchio. Il difensore fece fatica a perdonare l’argentino per quell’entrata, nonostante Tito fosse andato subito a chiedergli scusa negli spogliatoi. Nelle sue ultime due stagioni in blucerchiato fece ancora bene, ma la squadra non riuscì a ripetere più la magica stagione del ‘61, Tito aveva ormai 36 anni. 

Con la Samp aveva giocato centoquaranta partite e segnato quaranta gol. Se ne tornò a casa nel 1963. Ma a Genova non se lo sono più dimenticato. “Io cominciai a frequentare Marassi dal 1962 – dice il giornalista Renzo Parodi - e ricordo le sue gambette storte e la pelatina sul verde della meravigliosa pelouse del Ferraris, primissimi anni Sessanta. Era già in parabola discendente ma sapeva incantare con le sue serpentine. Tra tutti gli argentini della Samp mi è certamente il più caro”. Anche il giornalista Francesco Cevasco lo ricorda con molto piacere. Cucchiaroni fu il suo battesimo da sampdoriano. “Fu la prima maglia blucerchiata che vidi. Mi portò mio padre, da quel giorno lo metto nella mia squadra ideale della Sampdoria di tutti i tempi”. Nella formazione del cuore di sempre lo aveva inserito anche Edoardo Guglielmino in uno dei suoi racconti scritti sulla Samp. Il poeta Enrico Testa invece Cucchiaroni non l’ha mai visto giocare dal vivo, ma è come l’avesse fatto. “In famiglia (mio padre e mio nonno, entrambi di Sampierdarena) era, insieme a Brighenti, un mito di cui mi parlavano con devozione e affetto”. Il popolo blucerchiato non se l’è scordato anche per via delle sue qualità umane. “Non sembrava affatto un sudamericano – lo descrive così il critico letterario Massimo Raffaeli - era cioè un uomo serio, chiuso, del tutto antidemagogico e tuttavia un campione vero”. Che però aveva passioni anche fuori dal campo, se è vero ciò che ha scritto Nando Dalla Chiesa nel libro su Meroni “La Farfalla granata”, dove è ricordato come un ottimo ballerino notturno che amava giocare a boccette, sempre in coppia con l’amico Skoglund. Fu un uomo che seppe farsi amare in Italia come in Argentina. Cucchiaroni nacque nel 1927 a Posadas, capoluogo di Misiones, una provincia a Nord-Est dell’Argentina. Famiglia numerosa, aveva tre fratelli e quattro sorelle, lui era il quarto di otto. La passione per il calcio cominciò a consumargli l’anima ben presto. Dopo aver iniziato le scuole nella sua città, il padre fu costretto a metterlo in un collegio religioso.

Il giovane Tito pensava troppo al calcio, e ai libri niente. Ma rinchiuso in questa scuola non durò molto. Quando ritornò a Posadas, iscritto in un altro collegio, poté riprendere con lo sport. Non solo calcio. Praticava con ottimi risultati anche il basket, il nuoto, alcune specialità di atletica leggera e pure con la boxe seppe ricavarsi delle soddisfazioni a livello studentesco. La prima squadra che lo mise sotto contratto fu quella della sua città, il Club Atlético Bartolomé Mitre. Nel 1949 lo acquistò il Club Atlético Tigre, dopo averlo visto all’opera con la camiseta della selección di Misiones nella finale di un torneo disputato quell’anno nello stadio di San Lorenzo di Almagro. Con la squadra tigrense vinse da protagonista assoluto il Campionato di Seconda divisione nel 1952. Con la maglia della squadra di Victoria giocò fino al 1954, disputando centotrentanove partite e siglando cinquantuno reti. Con questa società rimase in ottimi rapporti, tanto che negli anni Sessanta la squadra giocò alcune partite con la maglia della Samp che Tito aveva portato in quegli anni dall’Italia. Il Tigre lo vendette al Boca Juniors e, con i soldi ricavati (la società non ne aveva mai visti tanti in un colpo solo), finì di costruire lo stadio. Insieme alla maglia prestigiosa del Boca arrivò quella ancora più importante della nazionale, con la quale nel 1955 conquistò in Cile il titolo del Sudamericano. A Buenos Aires rimase poco perché nel ’56 arrivò la chiamata del Milan. Sembra che un dirigente della squadra lombarda Guido Cappelli se ne innamorò vedendolo con la maglia della Nazionale contro la Cecoslovacchia, in quella che rimase la sua ultima partita con l’Argentina. Entrò che mancavano dodici minuti, al posto di Santiago Vernazza. Ma evidentemente tanto bastò. Racconta l’episodio Fabrizio Calzia nel suo libro “Sotto la Sud”. “Cappelli va a vedere Argentina-Cecoslovacchia, la gara si snocciola senza particolari scosse, fino a quando il ct argentino Stabile non decide di mandare in campo un piccoletto che inizia a correre come un forsennato sulla fascia sinistra. La squadra beneficia del suo ingresso in campo e Cappelli vuole sapere come si chiama quel giocatore”.

Al Milan dalla stagione 1956-1957, vinse subito lo scudetto ma nel campionato seguente il rendimento calò parecchio e la società decise di venderlo. Nel biennio rossonero quarantuno presenze e sette gol. Ma la sua carriera non finì lì, perché è proprio in quel momento che arrivò la Samp nella sua vita. Il periodo più bello della sua carriera. Dopo cinque stagioni in blucerchiato, tornò in Argentina nel 1963. Si mise ancora le scarpette da calcio per giocare alcune partite con il Bartolemé Mitre, squadra della sua città con la quale aveva iniziato la carriera. E poco dopo diventò direttore tecnico del Club Deportivo Guaraní Antonio Franco, l’altra squadra di Posadas. Negli anni Sessanta fece alcune stagioni sotto questa veste ma sempre in serie B. Non fece in tempo a vedere la squadra giocare la prima partita in serie A, nel match d’esordio contro il Boca. Soltanto tre mesi prima di quella storica gara per la città di Posadas, Ernesto Bernardo detto Tito morì. Era il 4 luglio del 1971. Non aveva ancora compiuto 44 anni. Era ancora piuttosto giovane, nonostante sembrasse non esserlo mai stato. Esistono parecchie versioni sul suo decesso. Quella ricordata più spesso dai giornali locali del suo paese racconta che la morte lo trovò mentre seguiva in tribuna una partita del Mitre, la sua squadra del cuore. Altre fonti dicono che il tragico evento accadde con Cucchiaroni ancora impegnato in campo d’allenamento, altre ancora che perse la vita in un incidente stradale. Una morte misteriosa dunque, avvenuta quando una parte del tifo doriano, era il 1969, aveva già intitolato a suo nome il primo gruppo Ultras nato in Italia. “La sua classe e soprattutto la sua combattività – ricorda Stefano Rissetto - indussero i sostenitori più giovani a farne una bandiera”. 

A volte anche le date non coincidono, sia quelle di nascita che quelle di morte. “La morte di Tito Cucchiaroni ha subito creato una leggenda – aggiunge Raffaeli - Non so più a chi dare retta. Nel suo ultimo e bel libro sulla SLA, Massimiliano Castellani parla, a proposito di Cucchiaroni, di una crisi fulminante”. Cucchiaroni è entrato nel libro di Castellani perché anche la sua morte fa parte di quelle sospette, su cui ha indagato il pm Raffale Guariniello nel fascicolo che riguarda il rapporto tra il morbo di Gehrig e il calcio.

“La mia versione – dice Castellani – è quella di persone vicine alla Samp che sono state in contatto con Tito fino alla fine della sua vita. Cucchiaroni a quella partita c’era andato. Era in tribuna e poi di ritorno in macchina si è sentito male ed è morto. Ora non so dirti se guidava lui o lo trasportavano, comunque è certo che gli avevano diagnosticato la malattia (SLA o comunque neurodegenerativa), alla quale poi subentrò una complicazione cardiaca improvvisa.

Da qui la morte fulminante che probabilmente gli ha evitato anni di agonia lenta”. Quello su cui è inutile indagare è l’affetto che i suoi concittadini gli tributarono il giorno della sepoltura. Quel giorno una folla accorse al suo funeraleLa bara fu portata dai giocatori di allora di entrambe le squadre della cittadina, Mitre e Guaraní. L’ultimo saluto a Tito deve essere stato davvero qualcosa di commovente. Là era amato e rispettato come pochi altri. Tanto che quando la rivista El Gráfico fece un sondaggio per eleggere l’idolo della provincia di Misiones, risultò il più votato di tutti.

FONTE: https://www.albertofacchinetti.it/