San Michele e l'equinozio d'autunno

29.09.2012 00:07

 

Siamo giunti alla fase conclusiva dell'Opera, la "fase all'oro": quell'oro del quale la natura stessa sembra voler far dono nei colori delle foglie che "portano luce" proprio nel momento in cui si apprestano a cadere. L'"iniziato" riconosce questa luce e non cade nella "trappola dell'illusione" che il momento più critico del cammino significativamente, proprio ora, induce...


Ecci arrivati all'ultima importantissima tappa del nostro cammino: tappa che corona e illumina l'intero percorso, anello di congiunzione tra la fine ed un nuovo inizio. Si tratta del passaggio più difficile, quello che richiede un vero e proprio "salto dell'abisso" ma che, a chi oserà penetrarne i segreti più profondi, non finirà mai di elargire immensi doni di consapevolezza.

La festa di San Michele è una festa di intensità estrema, non facile da comprendere. Nella sua essenza ultima, si può dire che è la festa che celebra la continuità della vita, che è un "inno alla vita che continua".

Quando l'autunno incipiente spazza via l'estate con la sua carica di sensualità e fertilità, ecco che il passo cruciale si avvicina: l'inverno ci aspetta e, con esso, i fantasmi che da sempre porta con sé. Gradualmente soppiantata del buio, la luce è costretta a ritirarsi: raccolto il frutto, seminato e pazientemente coltivato attraverso il lungo cammino del corso dell'anno, ciò che resta sembra inevitabilmente volto ad una retrocessione. E così è difatto, nella natura come nella vita biologica: raggiunto un apogeo di pienezza, il cammino di inverte e inizia una nuova fase, quella del "ritorno". Le foglie ingialliscono e l'energia stessa della pianta, sino a poco fa intenta a "salire" verso l'alto per nutrire il fiore e poi il frutto, ora precipita, scendendo verso la terra. Ma, proprio come la cenere che precipita verso il basso, così facendo, fertilizza il terreno, preparandolo alla nuova semina.

E' un sacrificio rivolto alla fertilità: in esso, il destino stesso del frutto. Il suo "senso", il suo "significato". Aspirazione del frutto non può che essere infatti che quella di "precipitare", quella di "tornare" alla terra per permettere al nuovo seme che essa porterà in grembo di nascere e germogliare.

Il momento del ritiro, del ri-entro, del ritorno - proprio di ogni cosa che, avendo un principio, contempla necessariamente anche una fine - è inevitabile ma, proprio per questo, sostanziale. E' il salto, il grande salto, l'"abisso" che, per procedere, dobbiamo affrontare.

In tutto il corso dell'anno è certamente il passo più difficile perché, ancora inebriati della luce e dal calore di cui l'estate appena trascorsa ci ha fatto dono, induce a distaccarci proprio da ciò che ci pare aver appena conquistato: una sorta di passo indietro apparentemente non giustificato... ma perché - mi chiedo - tutta questa fatica? Perché tanta strada devo percorrere per raggiungere la cima del mio "albero" quando poi, sfiorito il fiore e maturato il frutto, questo cadendo torna alla terra e tutto sembra dover ricominciare? Forse non è un caso che tante forme depressive si presentano o si enfatizzano proprio all'inizio di questa stagione... Anche in primavera accade, ma è diverso: in quel momento si procede comunque verso la luce, si cammina ancora incontro ad una promessa...

Ora invece la "promessa" è nascosta, è velata, qualcuno addirittura assolutamente non la vede... E' la promessa del nuovo frutto che il seme contenuto nel vecchio porta con sé. Questa è l'insidia, la trappola celata: il non-vedere! Il non vedere la promessa o il "dono" che, ora, è nascosto nell'invisibile...

Traducendo tutto questo in termini esistenziali, al di là della metafora, la faccenda si fa veramente dura: come la foglia, anche la pelle dell'uomo, disidratandosi nell'autunno della sua vita, perde la conosciuta freschezza ed il buio, lo svuotamento, come alfine la morte si fanno padroni dell'orizzonte.

Tuttavia, strappando il velo dell'illusione, il "vuoto" che il salto ci costringe a guardare si rivela in tutta la sua reale pienezza: ciò che, da un lato, decresce, dall'altro matura e si arricchisce di nuova vita e nuovo potere. Se, in superficie, la terra, la natura, si addormenta e par sino morire, dentro, nel suo cuore, essa si risveglia, proprio come la vita che, sul finire dell'estate e con l'incedere del freddo, si ritira al riparo e al caldo delle case... La vita si trasferisce all'interno e arde di un riscoperto e nuovo calore...


Ecco allora che l' ''orizzonte del senso e del significato" si apre ai nostri occhi interiori quando finalmente l'anima apprende a "vedere" al di là dell'apparenza. Il buio dell'inverno è momentaneo e, soprattutto, è propedeutico ad una nuova luce. E' il passaggio. L'anello della catena che dobbiamo riagganciare per ricucire il cerchio e permetterne il nuovo inizio.

La morte è necessaria alla vita come i nodi sul retro del tappeto sono necessari affinché si contempli la bellezza dell'arazzo: in realtà - ci insegna il corso dell'anno - nulla muore, ma solo si nasconde...

Il messaggio della natura nel periodo dell'Equinozio Autunnale è un messaggio di EQUILIBRIO: quell'equilibrio che sa veicolare la FORZA necessaria per incedere verso il "buio" portando con sé le energie della luce di cui ci si è fin'ora nutriti, destinaste ad operare proprio nel momento in cui la luce si ritira e "sembra" occultarsi in un regno lontano e sconosciuto. Ma la luce non "fugge": si va solo ritirando all'"interno" delle cose, e proprio là, nel mondo del pensiero e dell'interiorità, possiamo ora cercare, là dobbiamo spostare il nostro baricentro...


Mentre le foglie sugli alberi iniziano ad ingiallire e a cadere, una particolare atmosfera pervade l'aria nelle settimane intorno all'equinozio d'autunno: è il tempo di Michele, un periodo dell'anno particolarmente propizio per risvegliare l'interiorità ed attivare il nostro pensare, dopo l'assopimento estivo.